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s’Accabadora

7 Luglio 2021
21:00
Anfiteatro Sud
s’Accabadora

mercoledì 7 Luglio – Turno A
giovedì  8 Luglio – Turno B

ore 20.30 – Frammenti: Nausicaa – con Julia Pirchl

ore 21.00 – S’ACCABADORA

AnfiteatroSud
presenta

S’ACCABADORA

atto unico liberamente ispirato a “Le Serve” di J. Genet
drammaturgia e regia Susanna Mameli

con

Marta Proietti Orzella – Antonia

 Elisa Pistis – Speranzedda

 musiche  Paolo Fresu
videomapping e realtà aumentata Michele Pusceddu e Francesco Diana
scene Susanna Mameli

Siamo nella tana de s’Accabadora. La sua serva, mentre sistema e rassetta la stanza, racconta i fatti della padrona. Attraverso il filtro dei pettegolezzi e dell’amore-odio della serva verso la sua padrona, ecco levarsi l’immagine castigata di Antonia, ora come levadora, ora come incantadora e infine accabadora. Levatrice, donna delle medicine, donna che pone fine alle sofferenze dei moribondi, ma anche figura crepuscolare solitaria, sfuggente e schiva. Si sa che da fanciulla fu abbandonata sull’altare sotto lo sguardo armato dei fedeli. Si dice di come i fiori le si appassirono in volto, si racconta di come nessuno osò fermarla e della mano pietosa che fece cigolare la porta della chiesa, consegnandola alla luce divorante del mezzogiorno.

Il cielo bisogna guadagnarselo, e Antonia si fa serva e missionaria degli uomini in terra, affaticandosi a fare quello che nessuno vuole o ha il coraggio e la forza di fare: aiutare a nascere e morire.

La “serva” e la “padrona” si cavano i peccati dall’anima con crudele affetto, uno ad uno, fino a che la serva rivela il gioco orrendo e chiede la Pietà che Antonia ha sempre reso altrove. Ma per Antonia, questa volta, è diverso.

                            

Note
Accabàdora: dalla lingua sarda accabare = finire, terminare, dare fine.

In questo lavoro l’autrice Susanna Mameli ha cercato di mettere a fuoco il lato umano e personale di una figura cosi crepuscolare e sfuggente, ma storicamente reale, come quella di sa femmina Accabadora. Così veniva chiamata la donna che in passato, come sostengonoanche gli ultimi studi sul tema, si occupava nelle comunità della Sardegna di dare non solo la vita, come levatrice, e il sollievo della guarigione, come donna di medicina popolare, ma anche la “bona morte”, quando ormai la malattia non lasciava via di scampo.

La fautrice tollerata di eutanasia nel passato diventa oggi personaggio di straordinaria attualità per i legami con i dilemmi etici del presente. Così, il testo, liberamente ispirato a Le serve di Jean Genet, con le scene minime ed essenziali, risolve l‘azione teatrale nel rapporto tra Antonia e sua sorella, rispettivamente interpretate da Elisa Pistis e Marta Proietti Orzella. Una relazione che è una finzione nella finzione e che lascia trapelare lentamente la verità atroce sulle loro vite.

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